Ricerca: Droni sparano dardi per attaccare i sensori sugli alberi

Sappiamo già che un drone può essere uno strumento ideale per raggiungere dei luoghi dove sarebbe troppo dispendioso, rischioso o in generale complicato arrivare a piedi o con altri veicoli, per questo si prestano alla perfezione per portare avanti le ricerche scientifiche in luoghi remoti del globo che sono inospitali per via delle condizioni ambientali che vi si presentano.

Allo stesso tempo, però, i droni possono essere impiegati per delle missioni di durata limitata, ad esempio realizzare dei video, realizzare mappe o raccogliere dati per un breve periodo, quindi ad esempio non possono essere utili se si vuole raccogliere dati ambientali per un periodo di tempo medio-lungo. Per compiti del genere si usano i soliti sensori fissi, che possono trasmettere in remoto i dati che registrano oppure devono essere poi ripresi al termine del periodo di studio. Ovviamente, per la riuscita delle ricerche, è opportuno che i sensori vengano posizionati con la maggiore precisione possibile nel punto dove possono essere più efficaci, ma per far questo sarebbe necessario che un ricercatore arrivasse a piedi sul posto, il che può rivelarsi pericoloso (e costoso).

Ecco perché i droni vengono usati sempre più spesso per trasportare e posizionare dei sensori che andranno recuperati solo dopo diverso tempo. I sistemi per svolgere queste operazioni sono generalmente di due tipi:

  • il drone lascia cadere in volo delle capsule che racchiudono i sensori (sistema facile ed economico che però permette solo una ridotta precisione sulla destinazione esatta prevista per il sensore);
  • il drone possiede un braccio o un’altra protesi meccanica con cui è in grado di manipolare gli oggetti, e che usa per posizionare con la massima accuratezza il sensore nel posto stabilito (sistema costoso e ad alto rischio di fallimento per via della complessità delle variabili chiamate in causa).

I ricercatori dell’Aerial Robotics Lab dell’Imperial College di Londra, però, hanno studiato una terza via, che è anche un sistema a metà tra le due opzioni finora più utilizzate. Si tratta di un drone munito di uno speciale meccanismo che lo rende in grado di scoccare dei sensori a forma di dardo, dotati quindi di una punta di metallo che, in virtù della forza impressa dal drone al momento del lancio e della distanza ridotta dall’obiettivo (che al momento non deve essere superiore ai 4 metri) sono in grado di conficcarsi in modo solido sul tronco degli alberi o comunque su materiali non troppo duri.

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Video: il progetto del drone-balestriere

Il principio è molto simile a quello della balestra, dal momento che il dispositivo di lancio del dardo che è montato sulla parte superiore del drone possiede una molla compressa che, al momento opportuno, viene sganciata e imprime quindi al dardo-sensore l’energia di cui ha bisogno affinché la sua punta si conficchi adeguatamente nel punto di impatto.

Il tasso di successo finora mostrato dai test è del 90%, con uno scarto di circa 10 centimetri, risultati ottenuti con sistema manuale ma che i ricercatori sono sicuri si possano ottenere anche con una un sistema che gestisca tragitto del drone, puntamento e sgancio del dardo in modo autonomo. Lo stesso meccanismo, inoltre, può essere applicato a diversi oggetti con leggere modifiche, ad esempio il sensore può essere fissato a basi metalliche mediante la sostituzione del sistema “a dado” con un sistema “a punta magnetica”, ma si potrebbero sfruttare anche le proprietà degli adesivi o altro).