Riciclo: in Malaysia testano droni con telai realizzati con gli scarti di ananas

Nel mondo dei droni la ricerca non si concentra solo su temi come lo sviluppo di più sofisticati algoritmi di volo automatico o l’aumento della capacità delle batterie a parità di peso delle stesse, ma anche sullo studio di materie prime innovative con cui realizzare i velivoli, o almeno parte di essi.

Materiali da costruzione sempre più originali, interessanti ed ecosostenibili, che a seconda dei casi riescono ad offrire soluzioni migliori della plastica in virtù del costo inferiore di produzione, della più semplice reperibilità in alcune aree del pianeta, e non ultimo per via della loro compatibilità con l’ambiente, visto che si tratta di materiali assolutamente naturali, biodegradabili e spesso anche ottenuti a partire da prodotti di scarto.

In ambito militare, ad esempio, già anni fa avevamo avuto modo di parlare dell’idea rivoluzionaria del Pouncer, il drone umanitario ad ala fissa realizzato in legno e parti commestibili che, lanciato da una catapulta o altro, avrebbe avuto il compito di portare il cibo nelle zone di guerra. Più in generale sono anni che assistiamo, soprattutto in alcune aree del globo dove i materiali hi-tech sono troppo costosi o troppo difficili da reperire, a versioni di droni “homemade” realizzati con “quello che passa il convento” facendo di necessità virtù (ad esempio i droni con telaio in legno e fascette di plastica realizzati in Tanzania di cui vi abbiamo parlato in questo articolo), ma più di recente ha destato molto interesse il progetto di Mohamed Thariq Hameed Sultan, professore presso il Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale dell’Università di Putra, in Malaysia, che ha costruito dei droni usando per il telaio la fibra ricavata dalle foglie degli ananas.

Ma al di là dell’idea sicuramente originale, la domanda è: “Può un materiale ottenuto da uno scarto agricolo presentare qualche vantaggio concreto in termini di uso, performance o altro”? A quanto pare sì.

Il più evidente punto a favore dell’impiego di questo materiale è ovviamente quello dell’impatto ambientale, perché come prima cosa si trova un’utilità ad un prodotto che altrimenti sarebbe solo uno scarto dell’industria agricola e alimentare. Allo stesso tempo, inoltre, in caso di danno il telaio potrebbe essere semplicemente interrato lì dove il velivolo è caduto, deteriorandosi naturalmente in circa 2 settimane, riducendo drasticamente la percentuale di rifiuti non biodegradabili e quindi l’impatto ambientale di ogni drone.

E se questo fatto potrebbe da solo essere sufficiente a strizzare l’occhio agli ecologisti, gli altri resteranno comunque sorpresi ed impressionati scoprendo che, secondo quanto riportato da Reuters, il prof. Mohamed Thariq sostiene che i droni realizzati con la fibra di foglie di ananas hanno un miglior rapporto forza-peso rispetto a quelli realizzati in fibre sintetiche, ma sono anche più economici e più leggeri. Queste affermazioni sono basate sui test di circa 20 minuti di volo finora effettuati dal suo team di ricercatori, che hanno spinto i droni prototipo fino a 1000 metri di altezza.

Ovviamente, come sempre accade nei progetti più innovativi, la strada per verso un uso su ampia scala, e prima ancora concretamente proficuo, è ancora lunga. Infatti gli scienziati stanno lavorando a modelli con telai di dimensioni maggiori, in grado di alloggiare payload di peso superiore, inclusi sensori per fini agricoli e di ispezione aerea. L’auspicio è di sentir presto parlare di nuovo dei loto lavori.

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