Tempo fa avevamo dato la notizia che la Nasa stava lavorando a un sistema automatico di controllo aereo per droni. Ora si conosce qualche dettaglio in più: l’agenzia spaziale americana è in team con una satrtup di San Francisco, Airware, per creare il mattone fondamentale del futuro sistema di controllo: l’avionica di bordo, una sorta di sistema operativo per droni, che possa controllare macchine volanti di tutti i tipi; multicotteri, aeroplani, elicotteri e soprattutto metterli in rete attraverso il cloud in modo che ognuno conosca posizione, velocità, quota e caratteristiche del traffico vicino in modo da poter impostare rotte sicure che evitino collisioni in volo. “L’obiettivo è quello di creare un sistema automatico che conosce e gestisce lo spazio aereo e il traffico in una determinata area” ha detto il responsabile del progetto, Jesse Kallman.
Nei piani della Nasa, il sistema dovrà controllare ogni oggetto volante nello spazio aereo classe G (da 0 a 500 piedi, praticamente la stessa quota che l’Enac italiana ha riservato ai droni commerciali, 150 metri). Airware si è costruita una solida esperienza sul campo sviluppando un autopilota per droni basato su Linux, osFlex Pilot, che oltre a far volare il drone comunica anche attraverso il cloud.
Il problema è che dovrà comunicare anche con gli altri droni che condividono lo stesso spazio aereo, e questo non è per niente facile: “Ci sono 600 aziende che costruiscono diverse versioni di hardware e software di controllo per droni. Noi pensiamo che abbiano bisogno dell’equivalente dronesco del processore Intel, e soprattutto di un sistema operativo standard, una specie di DOPS per droni” ha detto Jonathan Downey, fondatore e Ceo di Airware. “in questo modo oltretutto chi sviluppa droni può costruirli e ottimizzarli per le diverse applicazioni senza dover ripartire ogni volta da zero”.
Il bello, in questa favola americana, è che il progetto congiunto tra Nasa e Airware nasce da un fallimento. Airware era stata fondata nel 2010 vincendo una borsa del MiT per sviluppare una scatola nera che controllasse appunto droni, basata sul notissimo software open source Arducopter. “Abbiamo imparato a nostre spese che il concetto di scatola nera non funziona quando lo scopo è quello di creare nuove applicazioni, e l’open source si è rivelato non efficace proprio perché ognuno è libero di modificare il codice” ha spiegato Downey, che prima di fondare Airware era un ingegnere della Boeing.

Controllo del traffico aereo
Grazie all’aiuto della Nasa, il prossimo passo è quello di arrivare al controllo dello spazio aereo e non solo di ogni singolo drone. Un percorso lungo, che potrebbe richiedere quattro o cinque anni: più o meno il tempo che la FAA si prenderà prima di aprire ai droni lo spazio aereo americano. “Per costruire un sistema di gestione del traffico per piccoli aerei senza pilota, bisogna testare a fondo un gran numero di aeromobili” spiega Kallman. “Di tutti i tipi: ala fissa, multicotteri, elicotteri, elettrici, a turbina o a benzina, e simulare quelli che sono ancora in fase di progetto ma esisteranno negli scenari operativi futuri”. Prima di raggiungere il livello di affidabilità richiesto dall’uso commerciale, la compagnia deve sviluppare modelli quadridimensionali (le tre spaziali + il tempo) per il tracciamento delle rotte e gli strumenti per evitare le collisioni non solo con i droni, che è relativamente semplice se sono in rete con protocolli comuni, ma anche con aeromodelli che verosimilmente in rete non saranno mai, uccelli e ostacoli estemporanei, per esempio alberi, bandiere, pennoni. Nasa sta cercando altri partner per completare il progetto, a cominciare dai team di ricerca delle università, aziende che lavorano nel campo della sorveglianza e nelle telecomunicazioni, siti sperimentali per aerei senza pilota della FAA e sviluppatori di software per droni. Intanto, Airware continua le ricerche per garantire la continuità della navigazione del drone anche se si interrompe il segnale Gps. In conclusione, Downey tira acqua al suo mulino: “la FAA non ha ancora aperto i cieli americani ai droni per timori sulla sicurezza. Ma piuttosto di avere in volo aerei senza pilota con 600 software e hardware diversi, sarebbe meglio dal loro punto di vista se ci fosse un unico sistema, affidabile e comune. Pensiamo che sia un valore per tutti”.