Solo qualche anno fa i droni militari erano armi futuristiche ad appannaggio di pochissime potenze nel mondo mentre le persone comuni li consideravano alla stregua di oggetti mitologici dai poteri misteriosi. Poi sono arrivati i film come “Il diritto di uccidere“, o “Good Kill“, che hanno portato sul grande schermo la figura controversa del pilota di droni da guerra, il soldato addestrato per colpire obiettivi umani operando in remoto da una struttura situata a migliaia di chilometri dal luogo dell’attacco.
Oggi i droni militari sono non soltanto parte integrante dell’industria bellica, ma rappresentano senz’altro il suo ramo più innovativo. E in poco meno di 3 anni il progresso tecnologico ha abbassato i costi di produzione al punto che i droni da guerra si sono trasformati, da armi di nicchia a disposizione solo delle super potenze, in dispositivi comuni nella dotazione di almeno metà degli eserciti del mondo.
Come riporta la mappa elaborata dai dati dello studio prodotto da Dan Gettinger, co-founder del Center for the Study of the Drone al Bard College, ad oggi sono infatti quasi un centinaio i Paesi che annoverano all’interno del loro arsenale di guerra qualche tipo di drone militare, da quelli ultra piccoli e portatili, ideali per offrire supporto tattico alle truppe sul campo, a qualli grandi come aeroplani. E al fianco degli USA, della Cina, dell’Europa, di Israele e della Russia compaiono anche alcuni Stati dell’America Latina, dell’Africa e dell’emisfero australe. Una vera e propria corsa agli armamenti su scala mondiale che è ormai inarrestabile, visto che i paesi produttori investono enormi risorse finanziarie nella ricerca e sviluppo di questa tecnologia.
E infatti negli ultimi tempi i casi di droni militari abbattuti si sono moltiplicati, visto che sempre più spesso alcune nazioni utilizzano questi velivoli in spazi aerei che si trovano in zone quantomeno grigie rispetto ai loro confini.
