Ci lamentiamo della complessità del regolamento italiano ENAC, ma consoliamoci: regole in discussione negli Stati Uniti occupano ben 300 pagine, un documento che è quasi 10 volte più lungo delle 37 paginette del nostro regolamento nazionale. Prolissità a parte, la cosa interessante è che il regolamento americano che verrà è molto simile a quello europeo EASA che arriverà a luglio. Insomma, regole simili, a tutto vantaggio dell’interoperabilità dei droni tra Europa e USA e interessanti opportunità sia per i produttori sia per gli operatori che vorranno estendere i propri servizi su scala globale.
Le similitudini tra il regolamento FAA (Federal Aviation Administratiom, l’ENAC americana) sono così impressionanti da essere chiaro che le due sponde dell’Atlantico hanno – fortunatamente – deciso di convergere su una base regolamentare compatibile e interoperabile, il che è una opportunità enorme sia per i produttori di droni sia per gli operatori di grandi dimensioni che potranno operare su scala globale. Inutile dire che questo favorirà soprattutto gli operatori americani, di grandi dimensioni, più di quelli europei che sono decisamente meno strutturali e capitalizzati. E favorirà i produttori di droni, che oggi sono per lo più cinesi, ma l’opportunità potrebbe essere colta anche dall’europea Parrot, se riuscirà a rimettersi in gioco dopo aver perso il treno dei 250ini, magari proprio scommettendo sull’immenso mercato che sta nascendo grazie a regole quasi comuni tra Europa e Stati Uniti.
Cominciamo proprio dai 250ini, i micro droni sotto i 250 grammi che anche in Italia possono essere usati senza patentino online, senza registrazione (se usati per hobby) e senza transponder (in nessun caso). Anche la FAA ha scelto questa soglia, esprimendola in grammi e non in once per maggior chiarezza (comunque 250 grammi sono poco più di mezza oncia), per i droni senza registrazione, attestati e transponder, cosa che darà un’enorme spinta ai micro droni per svago e per lavoro. Oggi solo DJI ha imboccato la strada dei 250ini, una scommessa che sta dando ottimi risultati, portando sul mercato il Mavic Mini, una macchina leggera, sicura, potente. Ma anche migliorabile, essendo priva di sensori anticollisione, luci di navigazione e risoluzione di “soli” (si fa per dire) 2.7k, oltretutto senza formato RAW apprezzato dai fotografi professionisti:.
Limitazioni che spalancano e indicano la via ai competitor, se ancora hanno voglia di competere e non si sono arresi, prima tra tutti Parrot che con Anafi, appena troppo pesante per essere 250ino, ha dimostrato di saper costruire un gioiello con camera 4K e addirittura multispettrale integrata in un drone pieghevole di altissima qualità. Ma semplicemente 50 grammi troppo pesante per servire davvero a qualcosa in questa competizione, che al momento ha un solo vincitore ma semplicemente perché c’è solo un concorrente.
Transponder globale?
Un altro punto importante di convergenza tra i regolamenti è l’indissolubile binomio registrazione dei droni/transponder che trasmette a terra i dati dei droni in volo. La FAA è stata apripista, è stata la prima Authority aeronautica al mondo a richiedere la registrazione dei droni, seguita da diverse altre Autorithy, specie del mondo anglosassone, come la britannica CAA. E via via tutte le altre, tra cui ENAC: ricordiamo che i droni usati per lavoro devono essere immediatamente registrati a ENAC (ora) o a D-Flight (da Marzo), mentre chi vola per hobby ha tempo fino a Luglio, esclusi i droni sotto i 250 grammi. Alla registrazione segue a ruota il transponder, un oggetto ancora misterioso che trasmetterà a terra i dati del drone in volo: chiunque potrà conoscere il numero di registrazione (la “targa” del drone), mentre le forze dell’ordine potranno sapere tutto, compreso nome del pilota e dell’operatore e ovviamente la validità dell’assicurazione, sempre obbligatoria per qualsiasi drone e qualsiasi utilizzo, come scrive molto chiaramente ENAC.
Sarebbe molto importante che questo transponder, che potrebbe essere fisicamente uno scatolotto da attaccare al drone in attesa che i produttori lo integrino nei futuri modelli, sia interoperabile tra USA ed Europa, ma al momento ci sembra di vedere che ognuno sta andando un po’ per la sua strada, con gli USA in leggero vantaggio, visto che già stanno facendo vedere qualche progresso. Sarebbe il colmo riuscire ad avere un transponder europeo non compatibile con quello europeo, ma se FAA ed EASA non dovessero convergere su uno standard interoperabile, siamo fiduciosi che ci penserà l’industria, creando transponder a doppio standard. Specie in ottica U-Space, la visione europea in cui i droni dialogano automaticamente con le torri di controllo, gemella separata del Next-Gen americano che farà esattamente la stessa cosa. Ma perché questa magia si compia, e i droni possano essere integrati nello spazio aereo degli aeroplani, l’interoperabilità dei transponder è più necessaria che semplicemente auspicabile.
Un mercato da quasi un miliardo di persone
Tra spazio EASA (550 milioni di persone circa) e Stati Uniti (350 milioni, com oltre 1,5 milioni di droni già registrati), la platea di persone interessate a queste regole simili, se non uguali negli aspetti fondamentali, sono quasi un miliardo. Un mercato immenso per tutti quelli che sapranno cogliere l’opportunità, offrendo servizi innovativi che spaziando dal delivery all’agricoltura di precisione, dalla cantieristica al controllo del territorio e security. E saranno facilitati da sistemi di identificazione e registrazione inerperabili se non identici, il primo tassello fondamentale per creare un mercato davvero globale. Scaldiamo i motori.