Di Francesco Paolo Ballirano, legale esperto in diritto aeronautico e membro del Comitato Scientifico di DronEzine
Una parolina magica ha sfrattato i droni dal regno degli aeromodelli e li ha piazzati a forza in quello degli aeromobili. La parolina magica è “volo automatico”: chi può fare volo automatico non è più aeromodello ma aeromobile. Mentre finora si parlava di “Volo autonomo”, cosa ben diversa e tecnicamente non alla portata dei droni comunemente intesi, che potevano dunque essere considerati aeromodelli quando non usati per lavoro. Ma quali sono le differenze tra “volo automatico” e “volo autonomo”, distinzione cruciale sia per l’attuale regolamento ENAC sia per le future regole EASA?
Tra le novità portate dalla nuova edizione del regolamento ENAC pubblicata l’11 novembre scorso, merita attenzione la nuova definizione di aeromodello. L’art. 5 del nuovo regolamento, infatti, modifica leggermente la definizione già ampiamente dibattuta nella penultima edizione, disponendo che sono qualificabili come aeromodelli “dispositivo aereo a pilotaggio remoto, senza persone a bordo, impiegato esclusivamente nell’ambito di organizzazioni legalmente riconosciute costituite in uno Stato Membro esclusivamente per scopi ludico e sportivi, non dotato di equipaggiamenti che ne permettano un volo automatico e/o autonomo, e che vola sotto il controllo visivo diretto e costante dell’aeromodellista, senza l’ausilio di aiuti visivi”.
La differenza rispetto alla definizione contenuta nella previgente edizione è che viene escluso dal novero degli aeromodelli non solo il volo autonomo ma anche il volo automatico. Molto spesso la definizione di volo automatico ed autonomo è stata utilizzata in maniera impropria, quasi come se fossero sinonimi ed è quindi opportuno evidenziarne le differenze. Secondo gli studiosi, un drone automatico è da definirsi tale quando, in risposta agli input di uno o più sensori, è programmato per seguire un insieme di regole preimpostato, in modo tale da reagire a determinati eventi. La conoscenza dell’insieme di regole preimpostate rende il suo volo prevedibile. Altro elemento tipico del volo automatico è la non necessaria presenza del pilota remoto, il quale può (ma non necessariamente) intervenire. Un volo autonomo, invece è tale che l’intervento del pilota remoto è escluso.
Le modalità di conduzione dei droni, soprattutto ai sensi della documentazione JARUS sono suddivise in tre livelli di schemi di controllo:
- volo manuale. Nel volo manuale il pilota remoto ha il pieno controllo di tutti gli aspetti del volo.
- volo automatico. In tali casi il drone ha funzionalità o programmi che ne permettono un volo senza l’ausilio del pilota remoto, ma richiedono ancora input umani, pianificazione o supervisione.
- volo completamente autonomo. Non prevede intervento umano
L’interpretazione di volo automatico, che esclude dunque i droni che sono in grado di utilizzare tale modalità di volo dalla categoria degli aeromodelli, coinvolge tutte le ipotesi in cui il volo sia già preimpostato, fatta salva la possibilità del pilota remoto di assumerne il controllo. In ogni caso, lo stesso regolamento ENAC, sempre all’art. 5, da una definizione abbastanza chiara e coerente con gli studi e la documentazione di cui sopra.
Ed infatti, nella nuova edizione del Regolamento, per “sistema automatico” deve essere inteso un “SAPR in grado di svolgere tutta la missione, o parte di essa, in base ad un programma preimpostato dal pilota prima o durante il volo. Il pilota mantiene comunque il controllo del mezzo e può intervenire in tempo reale per riassumerne il controllo”.
L’analisi che qui si riporta sembra indurre alla considerazione finale che in realtà un sistema potenzialmente automatico possa essere anche quello previsto con i droni dotati di GPS, di funzionalità come il return to home o di geofencing, dove il volo per certi versi è automatico, salvo l’intervento in tempo reale del pilota.




