Da anni il governo statunitense si batte per limitare il più possibile, all’interno dei propri confini, l’adozione della tecnologia proveniente da paesi inseriti in “black list”, tra cui ovviamente soprattutto la Cina. Nel campo dei droni, questa guerra si declina principalmente nel ban ai prodotti DJI (almeno per le agenzie governative), che è il principale produttore mondiale di questo genere di dispositivi.
Sebbene le riserve e le conseguenti misure scelte dal governo americano abbiano l’evidente scopo concreto di proteggere lo sviluppo della produzione interna dall’invasione estera, ufficialmente si basano sui presunti rischi per la sicurezza nazionale che sono connessi al trattamento di dati sensibili (dei cittadini, delle aziende e soprattutto delle agenzie governative USA) da parte dei software “stranieri” che gestiscono il funzionamento dei droni.
Ecco perché, in un contesto del genere, trovano spazio delle soluzioni commerciali come quella rappresentata dai droni della serie Raptor, prodotti da Anzu Robotics. Questi droni hanno un design molto familiare, e infatti poggiano sulla piattaforma del DJI Mavic 3 Enterprise, ma utilizzano software sviluppato e prodotto all’interno dei confini USA, così da risolvere in modo intelligente i paletti imposti dal governo americano. Nello specifico il software è fornito dalla società Aloft Technologies, nota per aver collaborato anche con la Federal Aviation Administration (FAA) al progetto di pianificazione di volo e informazioni sulle restrizioni dello spazio dell’app B4UFLY.

Dal punto di vista della sicurezza, il sistema dei droni Raptor prevede che tutte le informazioni raccolte dai droni vengano salvate in locale sulla SD card del drone stesso, minimizzando il rischio di accesso non autorizzato durante la trasmissione. Inoltre, tutti i dati di volo immagazzinati da Aloft sono criptati con chiavi di livello AES-256, uno standard di sicurezza elevato che assicura riservatezza e integrità.
In sostanza, quindi, i droni Raptor e Raptor T sono i Mavic 3 e Mavic 3T della DJI, ma con un software made in USA che fa dormire sonni tranquilli anche ai senatori più agguerriti contro l’importazione di tecnologia cinese. Questo “barbatrucco” permette dunque di a DJI di aggirare in modo astuto i limiti imposti dagli USA ai suoi prodotti, ma il risultato non è esattamente lo stesso per le aziende americane, visto che il prezzo dei droni di Anzu Robotics, ossia 5100 dollari per il Raptor e 6700 dollari per il Raptor T, è comunque superiore alle versioni originali targate DJI. Bisogna però considerare che le alternative 100% made in USA (sia software che hardware) come i prodotti Skydio and BRINC richiedono spese ancora più alte.




