Oggi lo Stato maggiore della Difesa ha confermato che un drone militare italiano è caduto nel territorio libico. La fonte, come riferisce Ansa, dichiara che è stato perso “il contatto con un velivolo a pilotaggio remoto dell’Aeronautica militare, successivamente precipitato sul territorio libico“. Dalle dichiarazioni emerge anche che il velivolo era impiegato in una “missione a supporto dell’operazione Mare Sicuro” e che “seguiva un piano di volo preventivamente comunicato alle autorità libiche“. Sebbene sia ancora presto per spiegare cosa è successo, visto che sono tuttora in corso accertamenti sulle cause, la sensazione prevalente è che possa esserci stato un problema tecnico alla base dell’incidente.
Eppure la versione libica è nettamente diversa, visto che il portavoce del generale Khalifa Haftar riferisce che sarebbero state invece le loro forze di difesa ad abbattere il drone italiano mentre sorvolava il loro territorio senza autorizzazione.
Qual è la verità? È ancora presto per dirlo, ma di sicuro c’è che il drone, un “Predator B” del 32esimo Stormo di Amendola, ha prima perso contatto con la base e poi è precipitato in territorio libico. Si tratta però di un velivolo che di norma vola ad altezze superiori ai 5 mila metri, una posizione che secondo alcuni esperti non sarebbe alla portata della contraerea libica.
In attesa che si faccia chiarezza, la certezza più interessante al momento è forse che, se finora erano state le tensioni in Medioriente tra Usa e Iran, e le mirabolanti tecnologie russe a tenere banco sul tema dei droni militari, ora il drone militare italiano caduto in Libia fa eco su molti giornali e notiziari, anche internazionali, mettendo al corrente moltissime persone, soprattutto nel nostro Paese, che l’Italia ha a disposizione mezzi del genere.